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04/07/2014

Le varianti all’epoca del progetto integrato (*)

Il tema delle varianti in corso d’opera è di strettissima attualità (tra i motivi “fondanti” dell’A.N.AC.).

Il legislatore della legge n. 109/94 (c.d. Legge Merloni) tendeva ad escludere qualsivoglia contributo progettuale dell’appaltatore di lavori pubblici, sostanzialmente non previsto nel testo originario della legge (cfr. art. 19 L. cit.).

La più estesa forma di collaborazione nella redazione della progettazione, ovvero l’appalto concorso, era, infatti,  relegata ad ipotesi residuale (cfr. art. 20, comma 4) ed il contributo progettuale, pur introdotto nei successivi correttivi alla legge Quadro, rimaneva significativamente limitato, nelle successiva modifiche legislative, ad alcune tassative ipotesi.

L’originaria impostazione ha negli anni sempre più mostrato i suoi limiti fino ad essere del tutto superata e l’attuale normativa vede, invece, con favore l’attribuzione all’appaltatore di compiti in sede progettuale che possono svariare dalle mere proposte migliorative, alle vere e proprie varianti,  nonché  alla obbligazione di redigere il progetto definitivo e/o esecutivo (nell’appalto integrato e nell’affida-mento a Contraente Generale).

Nel primo caso la rilevanza del contributo progettuale opera nel campo dei criteri di aggiudicazione, ove  si assiste ad una quotidiana rivalutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, anche essa denigrata nella Legge n. 109/94, a scapito attualmente del criterio del prezzo più basso (art. 53 D.lgs. n. 163/06).

La seconda tipologia opera, addirittura, nella determinazione stessa dell’oggetto del contratto, venendo a e costituire la (cronologicamente e logicamente) prima obbligazione dell’appaltatore (art. 176 D.lgs. n. 163/06).

Ricostruito brevemente il quadro normativo, occorre dare conto della prevalenza della obbligazione progettuale perché, nell’ottica dell’appaltatore questa è, invece, vista come ancillare o servente al fine di dare esecuzione all’opera.

In buona sostanza la fase di progettazione è letta come funzionale solo all’esecuzione, ovvero come un momento di passaggio dallo status di concorrente a quello (finalmente !) di esecutore. Ma questa prospettiva “schiaccia” l’obbligazione progettuale e non ne consente la corretta lettura, il che costituisce un evidente errore, foriero di responsabilità per l’appaltatore e di suoi ausiliari (progettisti incaricati).

In primo luogo, infatti, l’appaltatore è tenuto a produrre, nei tempi prescritti dal bando, un progetto redatto a regola d’arte,  che sarà sottoposto per l’approvazione al committente.

Il processo è ben descritto nell’art. 169 del DPR 207/2010.

La centralità della progettazione è resa manifesta dal comma 7, laddove si prevede il caso che il progetto, pur privo di vizi, non sia comunque approvato dal Committente , che recede dal contratto senza far eseguire l’opera.

Il caso di scuola è dato dal progetto esecutivo che, per ragioni tecnicamente ineccepibili, abbia portato ad una previsione di spesa non compatibile con le (attuali) risorse del committente.

Ebbene, in quel caso, l’appaltatore  ha adempiuto così bene alla sua obbligazione primaria, la redazione della progettazione esecutiva secondo la migliore regola dell’arte, che perde l’oggetto principale (nella sua ottica, ma anche nell’interesse della comunità degli utenti) della partecipazione alla gara, ovvero l’esecuzione dei  lavori (il paradosso dell’appalto integrato).

Proprio per evitare questo paradosso, l’appaltatore è portato a orientare la progettazione, in questa delicata fase in cui è sì contraente, ma per nulla sicuro della esecuzione dell’opera, verso lidi più consoni alle attese (ed alle disponibilità) del Committente.

Ma anche la “corsa alla consegna dei lavori” presenta dei rischi notevoli e, forse, maggiori. Laddove, infatti, l’appaltatore , e per esso il progettista in ATI o incaricato, assume in questa fase dei “rischi”, si troverà esposto , in caso di prevedibili sopravvenienze in fase esecutiva, all’addebito di responsabilità circa l’errore progettuale.

Ecco, dunque, perché tra i due rischi (mancata approvazione del progetto per esondazione di costi o addebito dell’errore progettuale), il minore è certamente il primo perché non conduce ad alcun addebito di responsabilità. Tuttavia, poiché la scelta tra i due opposti (e, quindi, della alternativa responsabilità sì/no) non è la scelta strategica ragionevolmente praticabile, occorre indagare in che modo la responsabilità  in ordine alle scelte progettuali si consolidi nel processo di elaborazione ed approvazione del progetto esecutivo.

Presupposto per un corretta assunzione della responsabilità è la possibilità, per l’appaltatore (ed il progettista) di intervenire nel caso ravvisi la necessità di integrare e/o modificare le risultanze del livello progettuale curato direttamente dalla Committente (cfr. Lodo Arbitrale, Roma, 6.7.2012).

Il principio guida deve rimanere quello della prevalenza dell’obbligazione progettuale, per cui il progetto esecutivo dovrebbe sempre essere sottoposto al Committente nella sua migliore declinazione.

Successivamente, nel corso dell’istruttoria, è necessario che sia mantenuta una costante tracciabilità delle modifiche richieste, per addivenire ad una regolazione di confini utile a disciplinare i conflitti che, in fase di esecuzione, dovessero nascere in relazione alla necessità di adottare una variante.

Orbene, se in quella fase vi è una tracciabilità degli interventi a carico del progetto esecutivo da parte del Committente, potrà essere esclusa (salvo il caso di errori marchiani) la responsabilità dell’Appaltatore che, anzi, aveva ben colto il rischio ed attrezzato la risposta progettuale adeguata, non accettata dal Committente (cfr. AVCP Deliberazione n. 41 del 01/06/2006).

Vengono in evidenza, in questa fase, alcuni principi fondamentali in tema di adempimento dell’obbligazione, quali gli artt. 1176, 1218  e 1227 c.c.

Da tali principi generali, trova conferma la circostanza che dovrebbe essere ovvia  ma non è, come risulta dall’esperienza, sempre ben colta nel processo di esame ed approvazione del P.E., che il progettista deve eseguire la prestazione progettuale con la diligenza adeguata alla natura dell’attività esercitata e che eventuali errori ed inesattezze comportano una responsabilità patrimoniale .

Il limite di tal responsabilità, oltre all’esatto adempimento, è dato dalla ingerenza del committente che può giungere fino all’esimente e, comunque, alla riduzione del risarcimento per concorso colposo del creditore.

L’esimente si può ravvisare nel caso estremo di nudus minister (in particolare, l’appaltatore opera come c.d. nudus minister e  va esente da responsabilità laddove il committente, pur reso edotto delle carenze e degli errori, gli richieda di dare egualmente esecuzione al progetto o gli ribadisca le indicazioni).

Il fulcro della questione torna, dunque, alla prova delle eventuali istruzioni vincolanti del committente e della necessità che l’intero processo di istruzione del P.E. sia, anche mediante verbali di riunioni per la Qualità, ad essere tracciato e ricostruibili in caso di successive varianti 

Non sempre, tuttavia, l’istruttoria del P.E. espone chiaramente le matrici di responsabilità, trincerandosi spesso i Committenti nella richiesta di riduzione del costo dell’intervento, senza  precisare (strumentalmente) su quali previsioni e come intervenire.

Ma il riconoscimento, in sede di progettazione esecutiva, di una omissione del progetto definitivo risveglia, nel Committente (che ha da poco – con la firma del contratto -  cessato la veste di stazione appaltante) non giustificati timori di violazione della par condicio che, sommati alla cronica carenza finanziaria fanno propendere per l’adozione della variante non in sede di progettazione ma in sede esecutiva.

Ebbene, se la variante è necessaria e non riferibile ad un errore progettuale (e tale è la caratteristica della pressoché totalità delle varianti in sede esecutiva…), si è in presenza, semplicemente, di un rinvio del momento in cui sarà noto il reale costo dell’opera.

In altri termini, il costo delle lavorazioni suppletive rappresenta (tendenzialmente) una costante sia se fatto emerge in sede di progettazione esecutiva, sia che emerga in sede esecutiva.

Quello che non è invariabile è, purtroppo, il fattore tempo : l’adozione di una variante in corso d’opera comporta significativi perditempo in ragione della lentezza decisionale del committente pubblico, da un lato e dalla difficoltosa ricerca delle  risorse suppletive.

E’ qui che si annida il baco degli extracosti, derivanti dal danno sociale per l’indisponibilità dell’opera, costi sociali per la sicurezza e, infine, dalle richieste risarcitorie dell’appaltatore che si trova a sostenere i costi per un periodo più ampio di quello preventivato in sede di gara  ed a postergare i ricavi in misura speculare.

Un effettiva tracciabilità delle scelte operate in sede di redazione ed approvazione della progettazione esecutiva potrebbe costituire una formidabile  spinta ad anticipare, appunto nella fase progettuale, l’adozione di quelle stesse varianti poi adottate in fase esecutiva e, al contempo, a semplificare la risoluzione delle (a  quel punto residue) controversie per claims in corso d’opera.

(*) tratto dall’intervento svolto dall’Avv. Massimo Frontoni il 5 giugno 2014 al XXV Convegno Nazionale di Geotecnica - “La geotecnica nella difesa del territorio e delle infrastrutture dalle calamità naturali”, organizzato da AGI - Associazione Geotecnica Italiana, tenutosi a Baveno.